Categoria: Oggetti/Items/Objets
Piccoli sguardi indiscreti sul Settecento veneziano
L’anello dei segreti
India e Venezia, miniature e micromosaici

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Due luminosi occhi neri. Un dolce sorriso ad impreziosirle il volto.
Soffici capelli neri le ricadevano sulle spalle coperte da sontuosi abiti ricamati in fili d’oro e d’argento. Orecchini e bracciali dalle mille pietre preziose tintinnavano ad ogni suo passo.
E’ così che ci piace immaginare Mumtaz Mahal, la moglie favorita del Gran Mogol Shah Jahan, colei alla quale dedicò la costruzione del celebre Taj Mahal.
La sua storia è così famosa e la sua figura così amata in India che ne sono stati realizzati meravigliosi ritratti, soprattutto nel XVIII e XIX secolo. I poeti hanno composto innumerevoli liriche ad elogio della sua grazia e della sua misericordia verso i meno fortunati. E miniature, vennero dipinte moltissime miniature per poter trattenere il ricordo della dolce fanciulla sempre a portata di mano.
Gli inglesi, poi, diffusero l’immagine piena di romanticismo della bella Mumtaz Mahal (dal persiano “l’eletta/il gioiello del palazzo”) in madrepatria commissionando ad abili artisti indiani la produzione di suoi ritratti-miniature secondo il gusto dell’epoca, il cosiddetto “Company Style”.

Lo “Stile delle Compagnie” o “Pittura delle Compagnie” (in inglese “Company style” o “Company Painting”, in hindi “Kampani Kalam”) è per l’appunto un termine che designa uno stile pittorico ibrido indo-europeo sviluppatosi in India e perpetuato da artisti indiani. La loro produzione era destinata al mercato europeo tramite la Compagnia delle Indie Orientali. Tale stile fondeva elementi tradizionali della pittura Rajput e Mogul con la cura tipicamente occidentale per la prospettiva e per il volume. La maggior parte dei dipinti erano di piccoli dimensioni, riflettendo la tradizione delle miniature indiane, mentre le raffigurazioni di piante ed uccelli erano solitamente a grandezza naturale.
Nel tempo, la maggior parte dei ritratti miniature di Mumtaz Mahal è andata – ahimè – perduta. Le miniature erano per lo più realizzate su sottilissime placchette d’avorio, estremamente fragili e deperibili se non incorniciate debitamente. La rottura era dunque nella maggior parte dei casi inevitabile.

La miniatura è impreziosita da una raffinata cornice in micromosaico, di chiara produzione veneziana (fine XIX secolo), ornata da una ghirlanda di micromurrine floreali nelle forme di margherite e viole del pensiero su un brillante fondo turchese.
In epoca vittoriana le miniature indiane così come gli oggetti italiani in micromosaico erano particolarmente ricercati dai collezionisti inglesi. Non era dunque infrequente che forme di artigianato pur così lontane venissero accostate con esiti eleganti e armonici come nel caso della nostra miniatura.
Ogni tanto, interrogati sul nostro mestiere, ci viene chiesto: se mai ne esistesse uno, qual è l’oggetto che sentite mancare alla vostra collezione?
Ebbene, non appena abbiamo messo gli occhi su questa miniatura, abbiamo capito che era proprio questo uno dei nostri tesori mancanti.

E’ piccola, all’apparenza modesta, ma credetemi che da quando è arrivata, la luce emanata dalla miniatura della dolce Mumtaz ha pervaso il nostro negozio. E speriamo che dopo aver fatto tappa a Venezia nella nostra piccola bottega del Ghetto, possa essere presto raccolta da qualcuno che ne avvertirà lo splendore e trasportata verso lidi esotici almeno quanto quelli delle sue origini.
Per quanto ci riguarda, siamo già a caccia del nostro prossimo tesoro perduto… alla prossima!
Trasparenze secolari
Il successo della nostra mostra “Venezia: armonie di vetri e tessuti” durante la prima edizione – o come gli addetti ai lavori preferiscono chiamarla, l’edizione “zero” – di “The Venice Glass Week” ci ha confermato di essere sulla strada giusta: se da una parte l’arte contemporanea sta garantendo nuova e prospera vita al vetro di Murano, permettendo ad artisti italiani e stranieri di sperimentare forme inusitate e tecniche all’avanguardia, ci sono ancora moltissimi appassionati che desiderano conoscere e approfondire la storia passata di questa splendida arte.
Nel panorama del festival siamo stati tra i pochissimi ad allestire un evento – una mostra nel nostro caso – dedicato alle trasparenze meno recenti, esponendo vetri del XIX secolo e dell’inizio del XX secolo, accompagnati da delicate trame di tessuti veneziani.
L’incanto nello sguardo dei visitatori ci ha spinto a continuare la ricerca di meraviglie del passato e a spingerci ancora di più nei meandri della storia.
La ricerca non è per niente facile ma, ça va sans dire, è appassionante, ogni giorno di più!
E’ con piacere che vi presentiamo in questo primo articolo del 2018 una delle nostre ultime acquisizioni, un vero e proprio tesoro dal XVII secolo: una coppia di ampolline in vetro trasparente incolore lavorato “a penne”.
La descrizione tecnica è reperibile nella scheda descrittiva che abbiamo preparato ad accompagnamento dei due vetri, i curiosi e gli appassionati possono comodamente scaricarla qui –> [scheda descrittiva]
La foto potrebbe tradire le dimensioni reali; le ampolle sono molto piccole, leggere e delicate. Così delicate che per il momento abbiamo preferito lasciarle così come le abbiamo trovate, senza tentare di pulirle.
Il vetro può risultare più opaco, poco luminoso e brillante, è vero, ma il rischio di intaccare seppur minimamente la superficie ci fa propendere per l’astensione da interventi di pulizia.
I più acuti osservatori avranno notato come all’interno sia possibile vedere delle tracce di cera.
Come mai la cera? Perché con tutta probabilità i due piccoli contenitori in vetro avevano uso liturgico. Non è difficile immaginarli infatti ad ornare la tavola di un altare, vicino a delle candele, uno a contenere del vino, l’altro dell’acqua per l’Eucarestia.
Il vetro soffiato è tra i materiali più fragili esistenti. Se le sue trasparenze, poi, hanno riflesso la luce e i colori di quattrocento anni di storia, è inevitabile che l’integrità della vita dell’oggetto possa essere a rischio.
L’ansa di una delle due ampolle ha effettivamente incontrato un destino avverso: ad un certo punto della sua esistenza deve aver subìto un urto ed è ora mutila della parte superiore.
Ampolline simili sono attualmente conservate al Museo del Vetro di Murano, Venezia e al Museo Poldi Pezzoli di Milano.
Siamo entusiasti al pensiero che da qualche giorno a questa parte, anche il nostro negozio abbia la fortuna di ospitare dei vetri così longevi e affascinanti.
Vi aspettiamo per farveli vedere di persona!
Prospettive dal passato e… una domanda finale per voi!
Quando abbiamo trovato questa incisione siamo stati colpiti dalle sue piccole dimensioni (il diametro misura 8 cm), dalla forma rotonda e dall’importanza data alla profondità prospettica dell’immagine.
La finezza dei dettagli trae in inganno moltissimi dei nostri visitatori: ad una prima occhiata potrebbe sembrare infatti una miniatura dipinta a mano su carta.
Guardando con più attenzione si scopre che questo prezioso interno di cattedrale o chiesa è stato stampato a colori. L’unica traccia di intervento a mano è dato dalla lumeggiatura con gomma arabica di certi particolari.
Ma una stampa così piccola, oltre ad avere una funzione puramente decorativa, a cos’altro poteva servire?
Che potesse essere l’illustrazione di un libro ritagliata da qualche sventurato? Possibile, ma solitamente – seppur non sempre – simili immagini erano accompagnate da una qualche didascalia.
Che facesse parte di una serie di piccole stampe a tema che, se esposte insieme, avrebbero assicurato uno splendido risultato decorativo? Plausibile, ma le incisioni sono generalmente – anche in questo caso, non sempre – caratterizzate da dimensioni maggiori per essere ben visibili anche da una ragionevole distanza.
Che fosse un esercizio di maestria di un incisore? Possibile anche questa ipotesi.
Come per ogni oggetto che arreda il nostro negozio abbiamo svolto qualche ricerca e siamo venuti a capo del mistero.
Si tratta di una litografia a colori su disco in carta per poliorama panottico risalente al 1849. Una sorta di diapositiva rudimentale da inserire in un visore che, grazie ad un gioco di lenti, luci e prospettive, ne avrebbe esaltato il senso di profondità ottenendo un effetto molto realistico. Ma non solo, grazie alle lumeggiature in gomma arabica o a dei collage sapientemente eseguiti, era possibile ottenere per la stessa immagine una versione diurna e una notturna.

Che cos’era dunque il paliorama panottico? Questo strumento, semplificazione delle scatole ottiche del XVIII secolo e del diorama di Daguerre, è stato brevettato da un fabbricante di giocattoli e ottico, Pierre Henri Amand Lefort, il 21 febbraio 1849.
Prima di lui, il disegnatore parigino Auguste Louis Régnier aveva messo a punto un primo metodo per ottenere delle immagini “dioramiche”, metodo che sarà ripreso e semplificato da Lefort.
Lefort utilizzava delle litografie stampate fronte-retro ed uno strato di carta fine sul quale poteva incollare dei piccoli pezzetti di carta colorata. Le immagini erano a volte perforate, come nel XVIII secolo, e incorniciate con legno o metallo.
Data la fragilità della carta, abbiamo preferito proteggere l’interno di cattedrale con una bella cornice della stessa epoca.

Prima di chiudere questo post, desidero lasciarvi con una domanda: qualcuno tra voi lettori riesce ad identificare a quale cattedrale o a quale chiesa possa corrispondere l’interno?
Un po’ per l’architettura rappresentata e un po’ per istinto, riteniamo possa trattarsi di un luogo francese, ad esempio la Basilica di Sant’Eutropio di Saintes presenta molte analogie. Ma no… siamo ancora lontani dalla risposta giusta!
Chi lo sa, potrebbe anche trattarsi di un luogo inventato, in ogni caso grazie in anticipo per chi vorrà aiutarci! 🙂
“Tragédies du Ghetto” all’asta da Sotheby’s

Il 15 dicembre si terrà a New York un’importante asta dedicata alla giudaica organizzata da Sotheby’s. Gran parte delle meraviglie messe all’incanto fanno parte della collezione di Shlomo Moussaieff, noto gioielliere e collezionista d’antiquariato israeliano venuto a mancare a luglio dello scorso anno.
Tra gli splendidi cimeli elencati nel catalogo abbiamo notato un lotto a noi familiare: un’edizione delle “Tragédies du Ghetto” di Israel Zangwill, riccamente illustrata con acquarelli e disegni originali per mano di Alice Halicka (1894-1975), pittrice polacca, residente per gran parte della sua vita in Francia.
Il lotto è il numero 247 ed è possibile ammirarlo – Sotheby’s ha pubblicato delle foto in ottima definizione – a questo link: http://www.sothebys.com/en/auctions/ecatalogue/2016/important-judaica-n09589/lot.247.html


”Tragédies du Ghetto, contes de Israel Zangwill” venne tradotto da Charles Mauron e pubblicato a Parigi dalla casa editrice Emile Hazan nel 1928 con tiratura limitata; ne vennero stampate solamente 2500 copie.
L’autore, Israel Zangwill (1864-1926), fu un famoso umorista e scrittore inglese, nonché leader dell’Organizzazione Sionista, che lasciò nel 1905 per fondare l’Organizzazione territorialista, avente l’obiettivo di creare uno stato ebraico al di fuori della Palestina.
”Ghetto Tragedies”, questo il titolo originale in inglese, venne pubblicato nel 1899; il volume raccoglie una serie di racconti tragicomici in cui si narrano episodi di vita in alcune comunità ebraiche d’Europa. La raccolta è parte integrante del filone di racconti sul Ghetto di cui fanno parte “Children of the Ghetto” (1892), “Grandchildren of the Ghetto” (1892), “Dreamers of the Ghetto” (1898) e “Ghetto Comedies” (1907).
L’esemplare all’asta è più unico che raro. Oltre a racchiudere 57 illustrazioni originali dell’artista, contiene anche una dedica autografa della pittrice: “Illustré spécialement pour Madame Robert Ellissen, Alice Halicka”. Un’opera eccezionale stimata 12,000-16,000 dollari (circa 11,175-14,900 euro) e già bandita il 19 giugno 2012 a Londra da Christie’s, realizzando 6,250 sterline (circa 8,035 euro).
Alice Halicka nacque in Polonia nel 1894. Fu la moglie del pittore cubista Louis Marcoussis; a seguito dell’invasione nazista a Parigi nel 1940 la coppia dovette spostarsi a Cusset, nei pressi di Vichy. La donna vi rimase fino alla morte del marito nel 1941. Halicka pubblicò le sue memorie di guerra “Hier, souvenirs” nel 1946 e fece ritorno a Parigi, dove si spense nel 1975.

Come anticipato, il libro non ci è sconosciuto. Abbiamo avuto infatti l’occasione di ospitarlo tra i nostri scaffali per ben due volte. Il primo esemplare era il numero 253 di 2500, mentre il secondo è il numero 2465.
In entrambi i casi, le pagine erano prive di illustrazioni o dediche per mano di importanti pittori o personalità dell’epoca. Non di meno, il libro è di grande interesse storico e culturale, e se mai ne aveste l’occasione – per il momento una copia è ancora disponibile nel nostro negozio – , ve ne consigliamo la lettura.

Ciò che più colpisce è come Zangwill, seppur con grande distacco e mai in maniera esplicita, si pone severamente nei confronti dei suoi personaggi, vittime spesso del proprio estremo conservatorismo e ortodossia.
Staremo ora a vedere quanto realizzerà il 15 dicembre all’asta. Speriamo che il fascino del libro e delle meravigliose illustrazioni suscitino interesse in altri appassionati, e che il libro possa presto arricchire la collezione di un altro fortunato cercatore di tesori.
La miniatura e il quadro scomparso

Lo sguardo della fanciulla e i colori tenui del dipinto ci hanno conquistato ancor prima di voltare la tavola a scoprire la nota scritta a mano sul retro della miniatura. Non è stato facile decifrare la calligrafia del messaggio, ma con l’aiuto di due amici madrelingua inglese ce l’abbiamo fatta. Le informazioni contenute, ricche di nomi e dettagli, sono state preziosissime.
La miniatura su avorio è una copia in versione ridotta di un’opera di ‘Schidone’, al secolo Bartolomeo Schedoni (Modena 1578 – Parma 1615), artista irrequieto – si conosce molto della sua vita grazie ai numerosi atti processuali a suo carico – la cui mano fu molto influenzata dai dipinti del Carracci.


Il quadro in questione è un olio su tavola con titolo ‘Fanciulla con la tavola dell’alfabeto’ o ‘Il “Padrenostro”’, cm 84,5 x 35,5, la cui ubicazione è attualmente ignota.
Nel 1607 il Padre Bernardino da Marradi, Frate Minore dei Cappuccini di S. Francesco a Fontevivo, dettò i nuovi capitoli riformati della locale Compagnia delle Putte della Dottrina Cristiana, che si assumeva di educare, istruire e provvedere annualmente alla dote di dodici fanciulle oneste e da marito, sorteggiate fra le più bisognose e meritevoli. I Cappuccini e Ranuccio Farnese – duca di Parma – decisero di sfruttare al meglio il favore del popolo, che aveva accolto questa iniziativa benefica con grande calore: venne deciso di dare un’aura di ufficialità alle celebrazioni e perciò, a partire dal 2 febbraio 1609, festa della Purificazione di Maria, in quello stesso giorno di ogni anno a venire le vincitrici della “borsa della ventura” avrebbero dovuto partecipare – vestite con i colori dell’abito della Madonna – ad una solenne processione che sarebbe approdata nelle chiese cappuccine di Parma, Piacenza e Fontevivo. Fu così che Ranuccio volle commemorare questo avvenimento affidando a Schedoni l’esecuzione del dipinto noto come il “Pater Noster”: questo fu consegnato il 25 aprile 1609 assieme ad altre sue opere.
La tavoletta raffigura dunque “una putina con una tolla in mano” su cui sono leggibili la metà delle lettere dell’alfabeto, la scritta “Oratio domenicale” e, appunto, alcuni versi del “Pater Noster” (da cui il titolo assegnato al dipinto): una sorta di sillabario, ossia un “Summario” che si dava alle giovinette affinché potessero studiare i primi rudimenti della scrittura, indispensabili per imparare a leggere e pregare correttamente. La fanciulla inginocchiata indossa, in riferimento all’abito della Vergine immacolata, un vestito bianco e azzurro, ha riposto da poco il cesto da lavoro e invita al silenzio il bel giovane tentatore alle sue spalle.

Del dipinto originale disponiamo purtroppo solamente di un’immagine in bianco e nero; non si conosce infatti il luogo dove esso sia collocato ai nostri giorni. Dalle note affisse sulla miniatura pare che il Conte di Gainsborough fosse in possesso di una copia, arsa nel terribile incendio di Exton Park nel 1810. L’ultima segnalazione di un dipinto con lo stesso soggetto – forse l’originale? – giunge da Londra, dalla collezione Halsborough.
Qualche parola sulla nostra miniatura: l’immagine è impreziosita dall’irregolarità della tavola i cui lati curvi definiscono chiaramente la sezione di zanna d’elefante. Stando a quanto riportato dalle note a descrizione del dipinto, trascritte su un foglio di pergamena saldamente incollato alla tavoletta di avorio, la miniatura intorno al 1798 è appartenuta a Mary Henrietta Elizabeth Finch-Hatton (1753 – 1822), sorella (?) del Conte George Finch IX of Winchilsea (1747 – 1823). La preposizione ‘by’ posta prima al nome di Henrietta ci indurrebbe ad ipotizzare inoltre che la miniatura potrebbe addirittura essere stata realizzata da Henrietta stessa in quell’anno.
Se volete ammirare la miniatura di persona, venite a trovarci, saremo felici di mostrarvela!
Bibliografia: “Bartolomeo Schedoni 1578 – 1615” a cura di Emilio Negro e Nicosetta Roio, Artioli Editore, 2000, pagg. 84 – 85
Tre pesciolini e una leggenda
Quando ho visto questi tre pesciolini in filigrana d’argento e corallo non ho potuto fare a meno di pensare a una fiaba indiana che mi raccontarono da bambina. La storia è tratta dal Pañcatantra, un’antica raccolta di favole in prosa e versi.

Tre pesci vivevano in un laghetto. Il primo si chiamava Preparati Per Tempo, il secondo Pensa Alla Svelta e il terzo Aspetta e Guarda. Un giorno sentirono dire da un pescatore che l’indomani avrebbe lanciato la sua rete nel loro laghetto.
Preparati Per Tempo esclamò: “Questa notte me ne scappo nel fiume!”.
Pensa Alla Svelta disse: “Sono sicuro che mi verrà in mente un piano”.
Aspetta e Guarda commentò pigramente: “In questo momento non riesco proprio a pensare a niente…”.
Quando il pescatore lanciò la sua rete, Preparati Per Tempo era già partito. Ma Pensa Alla Svelta e Aspetta e Guarda furono catturati.
Pensa Alla Svelta si girò velocemente a pancia in su fingendo di essere morto. “Oh, questo pesce non è buono!” disse il pescatore, e lo gettò al sicuro nell’acqua. Aspetta e Guarda invece finì malauguratamente al mercato del pesce.
Ecco perché si dice che nei momenti di pericolo, quando la rete è stata gettata, è bene essersi preparati per tempo o pensare alla svelta!
