Antichità al Ghetto ha finalmente il suo sito! 2
Piccoli sguardi indiscreti sul Settecento veneziano
L’anello dei segreti
The Venice Glass Week: come partecipare al Festival del vetro veneziano

Venezia si fermerà una settimana anche quest’anno per celebrare uno dei suoi beni più preziosi: il vetro.
Maestri vetrai, collezionisti, artisti, galleristi o semplici appassionati, chiunque è benvenuto a dare il proprio contributo per onorare design e tecniche centenari della Serenissima. E quale occasione migliore per ammirare i nuovi virtuosi che propongono stili e linee inediti, cimentandosi con nuove avveniristiche tecniche?
Il vecchio e il nuovo, acqua e sabbia, vetro e riflessi… benvenuti al festival The Venice Glass Week!
La kermesse si svolgerà tra il 7 ed il 15 settembre ed accoglierà un gran numero di mostre, laboratori, conferenze ed altre coinvolgenti attività tra Venezia, Murano e Mestre.
Anche noi di Antichità al Ghetto prenderemo parte per la terza volta consecutiva al festival allestendo una mostra presso il nostro spazio espositivo nel Ghetto Ebraico di Venezia.
Mancano ancora un paio di mesi, ma ci stiamo già rimboccando le maniche, c’è ancora molto da fare!
Della mostra, in ogni caso, vi parleremo presto (seguite gli aggiornamenti su Facebook, Instagram, Twitter!).
Oggi vogliamo rispondere a tutti quelli che ci chiedono COME e COSA bisogna fare per partecipare a The Venice Glass Week.

Il primo requisito fondamentale è amare il vetro di Murano, in tutte le sue forme ed espressioni.
Amare questa materia viva e vivace, che ha visto passare secoli di storia e che pare quasi scorrere nelle vene dei veneziani.
Il vetro di Venezia respira, si trasforma, riflette il nostro vissuto e ne sottolinea le fragilità.
Come non innamorarsene?

Composizione in mostra per “Venezia: armonie di vetri e tessuti”, 2017
Secondo requisito, ben più pratico: sviluppare un progetto che possa nobilitare il vetro muranese e che possa essere fruito dal pubblico.
Il Comitato Promotore ed Organizzativo del festival, il cui compito è quello di selezionare i vari eventi proposti valutandone l’idoneità, lascia molto spazio alla creatività dei candidati prediligendo contenuti originali, pertinenti e concreti.
La propria candidatura deve essere sottoposta al Comitato entro le scadenze prefissate (di solito entro il primo quadrimestre dell’anno): è sufficiente compilare un modulo ed allegare qualche bella foto.
Chiunque può partecipare, dal singolo cittadino alla grande galleria. L’importante è che il progetto sia ben definito, così come il luogo in cui si svolgerà.
Dopodiché si attende. Si attende che la giuria, composta da esperti sul tema, veneziani e non, esamini ogni singolo progetto e dia il proprio benestare.

Una volta ottenuta l’approvazione bisogna rimboccarsi le maniche e dare vita al proprio evento.
La partecipazione a The Venice Glass Week è completamente – e a nostro parere incredibilmente – gratuita!
Ad ogni modo, ognuno è libero di dedicare il tempo e le energie – ed eventualmente gli investimenti – che desidera. Il Comitato non impone nessuna condizione.
Va da sé che più ci si dedica, più visibilità e soddisfazione si potranno ottenere.
Almeno, per noi è stato così.

Partecipare a The Venice Glass Week è sempre stimolante, a partire dalla formulazione della candidatura. Ideare e sviluppare ogni anno un tema su cui incentrare le nostre esposizioni è una bella sfida: bisogna trovare un filo conduttore originale e coerente al Festival; allo stesso tempo è importante individuare un soggetto che rifletta i nostri interessi, lo stile del nostro negozio e possa carpire l’interesse e la curiosità di vecchi e nuovi visitatori.
Per tutte e tre le edizioni – quella in itinere compresa – abbiamo allestito delle mostre nel nostro spazio espositivo. Si potrebbe pensare che il grosso del nostro lavoro venga svolto solo nei giorni precedenti al festival.
E invece no.
Per permettere ai nostri visitatori di apprezzare al meglio gli oggetti esposti, ogni nostra mostra è stata accompagnata da un catalogo con immagini ed ingrandimenti, in sei lingue (sì, ci piace complicarci la vita!).
La selezione degli oggetti in mostra, la loro catalogazione, descrizione e traduzione inizia dunque mesi prima.

Il lavoro di marketing è altresì fondamentale.
The Venice Glass Week pubblicizza gli eventi aderenti tramite i propri canali di comunicazione. Bisogna tenere conto però che l’elenco delle attività coinvolte si aggira intorno alle 150 – 200, per cui lo spazio che gli addetti al marketing del Festival possono dedicare ad ognuno dei partecipanti è comprensibilmente limitato.
Per questo è importantissimo che siano i singoli a promuovere autonomamente il proprio evento, Assicuriamo che gli sforzi verranno ripagati e ne possono beneficiare tutti.

(Photo courtesy of Monica Cesarato)
Noi concentriamo la nostra promozione quasi esclusivamente sui Social Network e l’entusiasmo dei nostri followers e visitatori fa il resto.
In moltissimi durante le scorse edizioni hanno scattato e condiviso foto delle esposizioni su Instagram, Facebook, Twitter ecc. contribuendo ad amplificare l’onda pubblicitaria. Siamo stati sorpresi dal passaparola che ha anticipato l’apertura delle nostre mostre e felici di essere riusciti a raggiungere non solo curiosi e amanti del vetro, ma anche esperti e collezionisti attivi a Venezia, nel Veneto ed in tutta Italia.

(Photo courtesy of Monica Cesarato)

(Photo courtesy of Carla Maria Francesca Bosco)
Nonostante l’impegno della mostra riusciamo ogni anno a visitare qualche altra esposizione di The Venice Glass Week venendo a conoscenza di nuove realtà e appassionati del vetro veneziano.
Sentirci, seppur magari solo per una settimana, attivamente parte di una comunità – l’intera cittadinanza! – con l’obiettivo di promuovere una delle eccellenze di Venezia, il vetro e la sua storia, ci rende orgogliosi.
Per questo confidiamo che The Venice Glass Week diventi un appuntamento annuale di risonanza mondiale, al pari della Biennale d’arte e d’architettura, e della Mostra del Cinema.

Cos’altro aggiungere?
Non perdetevi il prossimo termine per presentare la vostra candidatura! Potreste essere tra i prossimi partecipanti al Festival!
Per ulteriori informazioni vi invitiamo a consultare il sito ufficiale di The Venice Glass Week.
Inoltre desideriamo ringraziare Camilla Purdon, la straordinaria organizzatrice del Festival, il cui incredibile lavoro ha reso possibile ciò che avete visto nelle scorse edizioni e che vedrete in futuro!
Un grazie speciale anche a Monica Cesarato ed a Carla Maria Francesca Bosco per averci permesso di condividere le loro belle foto!
E vi aspettiamo a settembre per la nostra mostra “Zogie in micromosaico“.
Nel frattempo, vi invitiamo a dare un’occhiata alle nostre precedenti mostre:
– Venezia: armonie di vetri e tessuti;
– Ardite fantasie in micromosaico.
Ora torniamo a catalogare e a tradurre, la terza edizione di The Venice Glass Week è dietro all’angolo… alla prossima! 😉
India e Venezia, miniature e micromosaici

[Read the article in English]
Due luminosi occhi neri. Un dolce sorriso ad impreziosirle il volto.
Soffici capelli neri le ricadevano sulle spalle coperte da sontuosi abiti ricamati in fili d’oro e d’argento. Orecchini e bracciali dalle mille pietre preziose tintinnavano ad ogni suo passo.
E’ così che ci piace immaginare Mumtaz Mahal, la moglie favorita del Gran Mogol Shah Jahan, colei alla quale dedicò la costruzione del celebre Taj Mahal.
La sua storia è così famosa e la sua figura così amata in India che ne sono stati realizzati meravigliosi ritratti, soprattutto nel XVIII e XIX secolo. I poeti hanno composto innumerevoli liriche ad elogio della sua grazia e della sua misericordia verso i meno fortunati. E miniature, vennero dipinte moltissime miniature per poter trattenere il ricordo della dolce fanciulla sempre a portata di mano.
Gli inglesi, poi, diffusero l’immagine piena di romanticismo della bella Mumtaz Mahal (dal persiano “l’eletta/il gioiello del palazzo”) in madrepatria commissionando ad abili artisti indiani la produzione di suoi ritratti-miniature secondo il gusto dell’epoca, il cosiddetto “Company Style”.

Lo “Stile delle Compagnie” o “Pittura delle Compagnie” (in inglese “Company style” o “Company Painting”, in hindi “Kampani Kalam”) è per l’appunto un termine che designa uno stile pittorico ibrido indo-europeo sviluppatosi in India e perpetuato da artisti indiani. La loro produzione era destinata al mercato europeo tramite la Compagnia delle Indie Orientali. Tale stile fondeva elementi tradizionali della pittura Rajput e Mogul con la cura tipicamente occidentale per la prospettiva e per il volume. La maggior parte dei dipinti erano di piccoli dimensioni, riflettendo la tradizione delle miniature indiane, mentre le raffigurazioni di piante ed uccelli erano solitamente a grandezza naturale.
Nel tempo, la maggior parte dei ritratti miniature di Mumtaz Mahal è andata – ahimè – perduta. Le miniature erano per lo più realizzate su sottilissime placchette d’avorio, estremamente fragili e deperibili se non incorniciate debitamente. La rottura era dunque nella maggior parte dei casi inevitabile.

La miniatura è impreziosita da una raffinata cornice in micromosaico, di chiara produzione veneziana (fine XIX secolo), ornata da una ghirlanda di micromurrine floreali nelle forme di margherite e viole del pensiero su un brillante fondo turchese.
In epoca vittoriana le miniature indiane così come gli oggetti italiani in micromosaico erano particolarmente ricercati dai collezionisti inglesi. Non era dunque infrequente che forme di artigianato pur così lontane venissero accostate con esiti eleganti e armonici come nel caso della nostra miniatura.
Ogni tanto, interrogati sul nostro mestiere, ci viene chiesto: se mai ne esistesse uno, qual è l’oggetto che sentite mancare alla vostra collezione?
Ebbene, non appena abbiamo messo gli occhi su questa miniatura, abbiamo capito che era proprio questo uno dei nostri tesori mancanti.

E’ piccola, all’apparenza modesta, ma credetemi che da quando è arrivata, la luce emanata dalla miniatura della dolce Mumtaz ha pervaso il nostro negozio. E speriamo che dopo aver fatto tappa a Venezia nella nostra piccola bottega del Ghetto, possa essere presto raccolta da qualcuno che ne avvertirà lo splendore e trasportata verso lidi esotici almeno quanto quelli delle sue origini.
Per quanto ci riguarda, siamo già a caccia del nostro prossimo tesoro perduto… alla prossima!
Trasparenze secolari
Il successo della nostra mostra “Venezia: armonie di vetri e tessuti” durante la prima edizione – o come gli addetti ai lavori preferiscono chiamarla, l’edizione “zero” – di “The Venice Glass Week” ci ha confermato di essere sulla strada giusta: se da una parte l’arte contemporanea sta garantendo nuova e prospera vita al vetro di Murano, permettendo ad artisti italiani e stranieri di sperimentare forme inusitate e tecniche all’avanguardia, ci sono ancora moltissimi appassionati che desiderano conoscere e approfondire la storia passata di questa splendida arte.
Nel panorama del festival siamo stati tra i pochissimi ad allestire un evento – una mostra nel nostro caso – dedicato alle trasparenze meno recenti, esponendo vetri del XIX secolo e dell’inizio del XX secolo, accompagnati da delicate trame di tessuti veneziani.
L’incanto nello sguardo dei visitatori ci ha spinto a continuare la ricerca di meraviglie del passato e a spingerci ancora di più nei meandri della storia.
La ricerca non è per niente facile ma, ça va sans dire, è appassionante, ogni giorno di più!
E’ con piacere che vi presentiamo in questo primo articolo del 2018 una delle nostre ultime acquisizioni, un vero e proprio tesoro dal XVII secolo: una coppia di ampolline in vetro trasparente incolore lavorato “a penne”.
La descrizione tecnica è reperibile nella scheda descrittiva che abbiamo preparato ad accompagnamento dei due vetri, i curiosi e gli appassionati possono comodamente scaricarla qui –> [scheda descrittiva]
La foto potrebbe tradire le dimensioni reali; le ampolle sono molto piccole, leggere e delicate. Così delicate che per il momento abbiamo preferito lasciarle così come le abbiamo trovate, senza tentare di pulirle.
Il vetro può risultare più opaco, poco luminoso e brillante, è vero, ma il rischio di intaccare seppur minimamente la superficie ci fa propendere per l’astensione da interventi di pulizia.
I più acuti osservatori avranno notato come all’interno sia possibile vedere delle tracce di cera.
Come mai la cera? Perché con tutta probabilità i due piccoli contenitori in vetro avevano uso liturgico. Non è difficile immaginarli infatti ad ornare la tavola di un altare, vicino a delle candele, uno a contenere del vino, l’altro dell’acqua per l’Eucarestia.
Il vetro soffiato è tra i materiali più fragili esistenti. Se le sue trasparenze, poi, hanno riflesso la luce e i colori di quattrocento anni di storia, è inevitabile che l’integrità della vita dell’oggetto possa essere a rischio.
L’ansa di una delle due ampolle ha effettivamente incontrato un destino avverso: ad un certo punto della sua esistenza deve aver subìto un urto ed è ora mutila della parte superiore.
Ampolline simili sono attualmente conservate al Museo del Vetro di Murano, Venezia e al Museo Poldi Pezzoli di Milano.
Siamo entusiasti al pensiero che da qualche giorno a questa parte, anche il nostro negozio abbia la fortuna di ospitare dei vetri così longevi e affascinanti.
Vi aspettiamo per farveli vedere di persona!
Un rifugio di colori a Ca’ Pesaro: la retrospettiva su William Merritt Chase
L’epilogo del Carnevale quest’anno è coinciso con alcune giornate grigie e uggiose. In quei giorni non era raro vedere delle maschere sfilare per le calli celate da un velo di nebbia, mentre decine e decine di cellulari ne immortalavano i meravigliosi costumi.
Con delle giornate così livide, una residente restia alla confusione del Carnevale come me, dove poteva rifugiarsi per trovare un po’ di tranquillità?
La risposta è semplice: in un qualsiasi museo o galleria della città.
Ho deciso dunque di visitare la retrospettiva a Ca’ Pesaro: “William Merritt Chase: un pittore tra New York e Venezia“.
Non avrei potuto fare scelta migliore.
Trovo sempre molto interessante osservare come Venezia sia stata vissuta e ritratta nelle varie epoche a seconda dei diversi punti di vista. E se l’artista è uno straniero o semplicemente qualcuno di estraneo alla città (vedi “foresto” secondo il dialetto veneziano), che ha avuto ovvero la fortuna di posare il suo sguardo su palazzi, calli e canali della Serenissima per la prima volta, il senso di meraviglia che se ne trae è assicurato.
Nonostante il titolo della mostra lasci intendere, se non una vita vissuta tra New York e Venezia, quanto meno delle visite in laguna stabili e frequenti, William Merritt Chase (Williamsburg, Indiana 1849 – New York 1916) ha soggiornato a Venezia in sole due occasioni: la prima durante il periodo di formazione, la seconda verso la fine della sua vita.
Chase arriva la prima volta a Venezia nel 1877 insieme a dei compagni di studi. Il fascino della città ammalia presto gli occhi e il cuore del giovane pittore, il quale, durante un soggiorno di circa un anno, realizza una ventina di opere, confrontandosi con gli autori che lavoravano in città.
Ecco dunque delle balconate verdi e rigogliose affacciarsi su un canale, una fondamenta in penombra mentre delle gondole scivolano lungo il rio accanto, i tesori di un antiquario esposti nella corte adiacente alla sua bottega.
Devo ammettere di essermi riconosciuta ed immedesimata nei colori e nei dettagli di quest’ultimo quadro, anche se l’occupazione del suolo pubblico di Antichità al Ghetto è decisamente nulla!
E poi i frutti della pesca lagunare ritratti in una natura morta di importanti dimensioni.
Devono passare più di 30 anni prima che Chase ritorni a soggiornare a Venezia. E’ l’estate del 1913 ed il pittore è ormai un artista nonché docente d’arte rinomato.
Venezia rappresenta l’ultima sede dei corsi tenuti da Chase in Europa. Il pittore alloggia all’Hotel Gran Canal et Monaco dove, dalla penombra delle sue stanze, ritrae lo splendido panorama che si staglia oltre la balconata.
Anche se il titolo attribuito alla mostra – visitabile fino al 28 maggio – è un po’ forviante, dato che le opere esibite con soggetto Venezia non sono poi molte, il resto dei quadri che si possono ammirare nelle splendide sale di Ca’ Pesaro sono comunque talmente belli da togliere il fiato.
Chase spaziava molto in quanto a soggetti pittorici: il percorso espositivo della retrospettiva pone l’accento sulle nature morte di notevoli dimensioni in cui riflessi, luci e tridimensionalità fanno da padroni; e poi i meravigliosi ritratti delle signore dell’alta società newyorkese, le scene di vita della famiglia Chase e gli interni dipinti nei minimi particolari in un’armonia di colori e prospettive.
Colore, colore e colore, dunque. Proprio quello che cercavo per distrarmi dal grigiore che avvolgeva la città due settimane fa.
E a quanto pare non potevo scegliere giorno migliore per riconoscermi in Chase: sembra che durante la sua ultima visita a Venezia anche il pittore abbia trovato un tempo atmosferico cupo e grigio, tanto da realizzare un olio su tavola con titolo “Giornata grigia sulla laguna” (1913 ca.) e scriverne in una lettera alla moglie:
“Mia cara, oggi è stata un’altra brutta giornata. Pioggia, pioggia, pioggia. Sono rimasto in camera tutto il giorno, dipingendo dal balcone che è riparato – e penso di aver fatto un discreto lavoro”.
Quando si dice immedesimarsi con l’artista!
Prospettive dal passato e… una domanda finale per voi!
Quando abbiamo trovato questa incisione siamo stati colpiti dalle sue piccole dimensioni (il diametro misura 8 cm), dalla forma rotonda e dall’importanza data alla profondità prospettica dell’immagine.
La finezza dei dettagli trae in inganno moltissimi dei nostri visitatori: ad una prima occhiata potrebbe sembrare infatti una miniatura dipinta a mano su carta.
Guardando con più attenzione si scopre che questo prezioso interno di cattedrale o chiesa è stato stampato a colori. L’unica traccia di intervento a mano è dato dalla lumeggiatura con gomma arabica di certi particolari.
Ma una stampa così piccola, oltre ad avere una funzione puramente decorativa, a cos’altro poteva servire?
Che potesse essere l’illustrazione di un libro ritagliata da qualche sventurato? Possibile, ma solitamente – seppur non sempre – simili immagini erano accompagnate da una qualche didascalia.
Che facesse parte di una serie di piccole stampe a tema che, se esposte insieme, avrebbero assicurato uno splendido risultato decorativo? Plausibile, ma le incisioni sono generalmente – anche in questo caso, non sempre – caratterizzate da dimensioni maggiori per essere ben visibili anche da una ragionevole distanza.
Che fosse un esercizio di maestria di un incisore? Possibile anche questa ipotesi.
Come per ogni oggetto che arreda il nostro negozio abbiamo svolto qualche ricerca e siamo venuti a capo del mistero.
Si tratta di una litografia a colori su disco in carta per poliorama panottico risalente al 1849. Una sorta di diapositiva rudimentale da inserire in un visore che, grazie ad un gioco di lenti, luci e prospettive, ne avrebbe esaltato il senso di profondità ottenendo un effetto molto realistico. Ma non solo, grazie alle lumeggiature in gomma arabica o a dei collage sapientemente eseguiti, era possibile ottenere per la stessa immagine una versione diurna e una notturna.
Che cos’era dunque il paliorama panottico? Questo strumento, semplificazione delle scatole ottiche del XVIII secolo e del diorama di Daguerre, è stato brevettato da un fabbricante di giocattoli e ottico, Pierre Henri Amand Lefort, il 21 febbraio 1849.
Prima di lui, il disegnatore parigino Auguste Louis Régnier aveva messo a punto un primo metodo per ottenere delle immagini “dioramiche”, metodo che sarà ripreso e semplificato da Lefort.
Lefort utilizzava delle litografie stampate fronte-retro ed uno strato di carta fine sul quale poteva incollare dei piccoli pezzetti di carta colorata. Le immagini erano a volte perforate, come nel XVIII secolo, e incorniciate con legno o metallo.
Data la fragilità della carta, abbiamo preferito proteggere l’interno di cattedrale con una bella cornice della stessa epoca.
Prima di chiudere questo post, desidero lasciarvi con una domanda: qualcuno tra voi lettori riesce ad identificare a quale cattedrale o a quale chiesa possa corrispondere l’interno?
Un po’ per l’architettura rappresentata e un po’ per istinto, riteniamo possa trattarsi di un luogo francese, ad esempio la Basilica di Sant’Eutropio di Saintes presenta molte analogie. Ma no… siamo ancora lontani dalla risposta giusta!
Chi lo sa, potrebbe anche trattarsi di un luogo inventato, in ogni caso grazie in anticipo per chi vorrà aiutarci! 🙂
Quando il Ghetto si tinge di bianco
La neve a Venezia non è qualcosa di straordinariamente raro, tuttavia ogni volta che la coltre bianca si posa sul suolo di questa città, pare che il tempo si fermi.
La pioggia gelata del giorno prima si è trasformata ieri in vera e propria neve e tutti, turisti e residenti, sono usciti per i campi e le calli e scattare più foto possibili. Me compresa 🙂 Ecco qui il Ghetto di Venezia innevato!
“Tragédies du Ghetto” all’asta da Sotheby’s
Il 15 dicembre si terrà a New York un’importante asta dedicata alla giudaica organizzata da Sotheby’s. Gran parte delle meraviglie messe all’incanto fanno parte della collezione di Shlomo Moussaieff, noto gioielliere e collezionista d’antiquariato israeliano venuto a mancare a luglio dello scorso anno.
Tra gli splendidi cimeli elencati nel catalogo abbiamo notato un lotto a noi familiare: un’edizione delle “Tragédies du Ghetto” di Israel Zangwill, riccamente illustrata con acquarelli e disegni originali per mano di Alice Halicka (1894-1975), pittrice polacca, residente per gran parte della sua vita in Francia.
Il lotto è il numero 247 ed è possibile ammirarlo – Sotheby’s ha pubblicato delle foto in ottima definizione – a questo link: http://www.sothebys.com/en/auctions/ecatalogue/2016/important-judaica-n09589/lot.247.html


”Tragédies du Ghetto, contes de Israel Zangwill” venne tradotto da Charles Mauron e pubblicato a Parigi dalla casa editrice Emile Hazan nel 1928 con tiratura limitata; ne vennero stampate solamente 2500 copie.
L’autore, Israel Zangwill (1864-1926), fu un famoso umorista e scrittore inglese, nonché leader dell’Organizzazione Sionista, che lasciò nel 1905 per fondare l’Organizzazione territorialista, avente l’obiettivo di creare uno stato ebraico al di fuori della Palestina.
”Ghetto Tragedies”, questo il titolo originale in inglese, venne pubblicato nel 1899; il volume raccoglie una serie di racconti tragicomici in cui si narrano episodi di vita in alcune comunità ebraiche d’Europa. La raccolta è parte integrante del filone di racconti sul Ghetto di cui fanno parte “Children of the Ghetto” (1892), “Grandchildren of the Ghetto” (1892), “Dreamers of the Ghetto” (1898) e “Ghetto Comedies” (1907).
L’esemplare all’asta è più unico che raro. Oltre a racchiudere 57 illustrazioni originali dell’artista, contiene anche una dedica autografa della pittrice: “Illustré spécialement pour Madame Robert Ellissen, Alice Halicka”. Un’opera eccezionale stimata 12,000-16,000 dollari (circa 11,175-14,900 euro) e già bandita il 19 giugno 2012 a Londra da Christie’s, realizzando 6,250 sterline (circa 8,035 euro).
Alice Halicka nacque in Polonia nel 1894. Fu la moglie del pittore cubista Louis Marcoussis; a seguito dell’invasione nazista a Parigi nel 1940 la coppia dovette spostarsi a Cusset, nei pressi di Vichy. La donna vi rimase fino alla morte del marito nel 1941. Halicka pubblicò le sue memorie di guerra “Hier, souvenirs” nel 1946 e fece ritorno a Parigi, dove si spense nel 1975.

Come anticipato, il libro non ci è sconosciuto. Abbiamo avuto infatti l’occasione di ospitarlo tra i nostri scaffali per ben due volte. Il primo esemplare era il numero 253 di 2500, mentre il secondo è il numero 2465.
In entrambi i casi, le pagine erano prive di illustrazioni o dediche per mano di importanti pittori o personalità dell’epoca. Non di meno, il libro è di grande interesse storico e culturale, e se mai ne aveste l’occasione – per il momento una copia è ancora disponibile nel nostro negozio – , ve ne consigliamo la lettura.

Ciò che più colpisce è come Zangwill, seppur con grande distacco e mai in maniera esplicita, si pone severamente nei confronti dei suoi personaggi, vittime spesso del proprio estremo conservatorismo e ortodossia.
Staremo ora a vedere quanto realizzerà il 15 dicembre all’asta. Speriamo che il fascino del libro e delle meravigliose illustrazioni suscitino interesse in altri appassionati, e che il libro possa presto arricchire la collezione di un altro fortunato cercatore di tesori.